Alchimia – La trasformazione della sofferenza

“Curare la separazione tra la mia mente e il mio corpo è quindi stata la grande sfida della mia vita. Nei sessant’ anni in cui ho praticato la psicoterapia ho imparato che la strada per la salute emotiva passa attraverso il corpo. Lo scopo implicito dell’Analisi Bioenergetica è sempre stato quello di guarire la separazione tra corpo e mente.” – Alexander Lowen

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Gli Alchimisti hanno un’immagine molto calzante alla trasformazione della sofferenza del sintomo in un accrescimento di valore dell’Anima.

Uno dei traguardi del processo di Alchimia era la “Perla Preziosa”.

Questa Perla all’inizio, non è che un granello di sabbia, un sintomo nevrotico, un disturbo, un segreto irritante e noioso della propria carne, da cui non c’è Conchiglia che possa proteggere.

Questo granello è ricoperto, elaborato giorno per giorno, finchè diventa “Perla”, ma ancora deve essere ripescato dall’Abisso e acquistare autonomia.

Poi, quando il granello è recuperato, viene indossato.
Deve essere portato a contatto con il calore della pelle, perché conservi la sua Lucentezza.

Il complesso liberato, una volta causa di dolore, è ostentato davanti a tutti come una Virtù.

Il “Tesoro Esoterico”, ottenuto con uno sforzo che nessuno conosce, diviene uno “Splendore Esoterico”.

Liberarsi dei sintomi, vuol dire liberarsi anche della possibilità di guadagnare qualcosa che potrà un giorno rivelarsi di grande valore, anche se all’inizio è insopportabile, irritante, deprimente e da nascondere.

Da “La ricerca interiore. Psicologia e religione” (James Hillman)

I rimedi floreali di Bach sono un aiuto ed un sostegno nel corso della vita.

Mariella

L’OSTRICA ALCHIMISTA E LA PERLA (ALCHIMIA TRASFORMATIVA)

L’alchimia trasformativa è quel ramo dell’esoterismo in chiave moderna che si occupa della trasmutazione interiore (psicologica e spirituale) dell’essere umano. Una scienza sacra, disponibile per tutti, a patto che sappiate cosa e dove cercare. Perché l’alchimia, studiata e praticata nel mondo quotidiano, offre uno strumento di crescita e di trasformazione davvero esponenziale. Permette di lavorare direttamente sul dolore, sul disagio e sull’insoddisfazione, al fine di staccarsi da queste emozioni negative e trasmutarle in qualcosa di utile ai fini evolutivi. Ma perché paragonare l’alchimia trasformativa ad un’ostrica vi starete chiedendo… la verità è che l’obiettivo finale dell’alchimia trasformativa è uguale a ciò che si trova all’interno dell’ostrica perlifera: sì, sto parlando della madreperla, un suo prodotto, la perfezione assoluta dal punto di vista naturale che possa esistere a questo mondo. Ma da cosa e come nasce questa perla così preziosa?

All’origine di tutto, c’è un corpo estraneo. Spesso si tratta di un granello di sabbia o un parassita, che si deposita per caso all’interno del suo guscio. L’intrusione produce una forte reazione da parte dell’ostrica che, non riuscendo ad eliminare l’intruso, e per difendere i suoi tessuti dall’irritazione, inizia ad isolarlo per renderlo inoffensivo. Secerne, dunque, una sostanza cristallina liscia e dura, la cosiddetta madreperla, che in realtà non è altro che un deposito di vari strati di carbonato di calcio combinato con altri minerali, che originano ovoidi irregolari o sferici. Dopo pochi anni, il risultato sarà quello di una bella e splendente gemma.

C’è da sottolineare il fatto che, mentre le pietre preziose devono essere sottoposte al taglio e levigate per farne emergere la bellezza, le perle non hanno bisogno di questo processo complementare. Le perle vengono prodotte da questi molluschi con una naturale iridescenza e una lucentezza che nessun’altra gemma al mondo può possedere.

Ma torniamo all’alchimia trasformativa. Qual è il nesso con il lavoro dell’ostrica e della perla?! Cos’hanno cercato centinaia di alchimisti nel corso dei secoli? Non cercavano forse la pietra più preziosa di tutte, la pietra dei filosofi, il lapis philosophorum, la pietra filosofale? Non una ricchezza materiale, ma un genere di appagamento eterno e incondizionato, uno stato di felicità che non è più legato alle situazioni avverse che ci accadono. Esattamente come l’ostrica.

Per l’ostrica quel corpo estraneo, granello o parassita che sia, rappresenta una difficoltà. Lo rifiuta, poiché irrita. Non lo sopporta e vorrebbe espellerlo, ma non ci riesce. E allora decide di mettersi in gioco, inizia a lavorare su di sé nel modo più naturale che conosce: trasforma quell’oggetto estraneo in qualcosa di pregiato, affinché non rappresenti più un fastidio per lei. In altre parole, questa difficoltà interiore la costringe a secernere una materia speciale con la quale avvolge quel granello di sabbia tanto sgradevole, e questo, anziché venire distrutto o espulso, resta all’interno ma diviene bellissimo e prezioso. Meraviglioso. E gli alchimisti non hanno forse tentato, per secoli, di trasformare il piombo in oro?

Quindi questo fenomeno naturale dell’ostrica non è solo una metafora, ma un vero e proprio esempio vivente di come sia davvero possibile in natura trasmutare qualcosa di negativo, che dà fastidio, in qualcosa di prezioso per noi stessi. Nella trasformazione del granello di sabbia in madreperla sono contenuti i due processi più importanti del lavoro alchemico. Quello di portare la piena attenzione sulla difficoltà, senza cercare di evitarla. E quello di produrre dalla propria stessa sostanza una nuova materia capace di trasformare la difficoltà in un oggetto prezioso.

Il granello di sabbia rappresenta per noi le difficoltà interiori, quelle che viviamo nel quotidiano. E nel momento stesso in cui smettiamo di voler allontanare da noi queste difficoltà, accettandole anziché respingerle, costringeremo il nostro Cuore a produrre una sostanza che trasforma la difficoltà in pietra preziosa. Ci vorrà del tempo, è vero, ma l’ostrica ci dimostra che è fattibile. E l’alchimia ci dice che, per vivere una vita piena di serenità e soddisfazione è sufficiente guardare oltre, percepire la realtà oltre l’illusione. Siate delle ostriche alchimiste, e scoprite cosa si nasconde dietro l’allucinazione dei sensi e delle emozioni.

“Disse un’ostrica a un’altra ostrica sua vicina: «Ho dentro di me un gran dolore. È qualcosa di pesante e tondo, e io sono allo stremo». Replicò l’altra ostrica con altezzoso compiacimento: «Sia lode ai cieli e al mare, io non ho nessun dolore in me. Sto bene e sono sana sia dentro che fuori». In quel momento passava un granchio e udì le due ostriche, e disse a quella che stava bene ed era sana sia dentro che fuori: «Sì, tu stai bene e sei sana; ma il dolore che la tua vicina porta in sé è una perla di straordinaria bellezza».” Kahlil Gibran – “Tutte le poesie e i racconti“

Vinca dunque la perseveranza, perché, se la fatica è tanta, il premio non sarà mediocre. Tutte le cose preziose son poste nel difficile. Stretta e spinosa è la via de la beatitudine; gran cosa forse ne promette il cielo.” Giordano Bruno – “La cena de le Ceneri“

Tragicomico

 

“Non piangere” non è la risposta giusta al pianto dei bambini

Di norma quando vogliamo tirare su il morale di un bambino dopo una caduta o un capriccio, utilizziamo frasi come “Non piangere”, “Devi essere coraggioso”, “I maschi non piangono”, “Credi che piangendo si risolverà qualcosa?” e via dicendo.

Vi siete mai fermati a pensare alle conseguenze di queste frasi? Non diciamo di “no” solo ad un atteggiamento, diciamo di “no” anche al bambino e alle sue emozioni. Gli stiamo insegnando a trattenersi, a non esprimere ciò che prova, e questo avrà senz’altro gravi conseguenze sul suo sviluppo nella società.

La nostra tendenza ad adottare un simile metodo educativo non dovrebbe stupirci, poiché non è altro che un riflesso di quello che a noi stessi è stato insegnato da piccoli. Di fatto, lo stesso ragionamento vale quando adoperiamo le stesse frasi per un adulto: perché non dovremmo piangere se qualcosa ci ferisce? Il pianto è un meccanismo naturale che deve poter essere utilizzato.

Se desideriamo che i nostri bambini comprendano le proprie emozioni e vivano in base ad esse, dovremo eliminare completamente certe frasi e certe abitudini . Si tratta, senza dubbio, di un metodo contrario a quello di bloccare pensieri, emozioni e comportamenti.

– Lasciale andare, Lucia- disse la nonna chissà da dove.

– Chi?

– Le lacrime! A volte sembrano talmente tante che ci sentiamo affogare, ma non è così.

– Pensi che un giorno smetteranno di uscire?

– Ma certo! –rispose la nonna con un sorriso dolce – Le lacrime non restano a lungo, svolgono il proprio compito e poi continuano lungo la loro strada.

– E qual è il loro compito?

– Sono acqua, Lucia! Lavano e schiariscono… Come la pioggia. Tutto appare diverso dopo la pioggia…

La lluvia sabe por qué (La pioggia sa perché) – María Fernanda Heredia

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Nutrendo i bambini di amore, le paure moriranno di fame

Aiutiamo i bambini ad identificare le cause del loro pianto e a canalizzare le proprie emozioni, favorendo la loro capacità di regolazione. È un aspetto fondamentale, poiché di solito un pianto è legato ad una fonte di disturbo o di interruzione della propria tranquillità.

Per fortuna la natura è saggia ed ha lottato contro il modello educativo imperante avendo fatto della tristezza l’emozione più empatica fra tutte. La nostra mente e il nostro cervello sono per natura predisposti ad ascoltare la tristezza, entrando in empatia con essa e consolando chi si trovi di fronte a noi in questo stato.

Anni di educazione fondata su un modello scorretto ci hanno portato a reprimere emozioni negative, ma sane, costringendoci a mostrare alla società e a noi stessi soltanto la nostra versione più serena.

Dovremmo insegnare ai bambini che la tristezza ha molteplici cause, che essa è una risposta naturale a ciò che ci disturba e che può essere canalizzata. Dobbiamo offrire ai più piccoli modelli adeguati di regolazione delle loro emozioni favorendo in loro la capacità di riflettere sul malessere provato e sulle sue cause.

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Quando li esortiamo a trattenersi con frasi del tipo “non piangere”, suggeriamo loro di affrontare il pianto ed il messaggio che esso comporta attraverso la paura e la negazione. Tuttavia, anche se si tratta di un’emozione negativa e di disturbo non significa che non sia sana.

Oltre a portarli a comprendere questo, dunque, abbiamo l’obbligo di aiutarli ad uscire dal loro bozzolo. Occorre dunque risalire all’origine del pianto per verificare quanto problematica sia la situazione, ma a tale scopo, bisogna far propria una regola educativa severa: non consentire i capricci.

Da questo punto di vista, è bene sottolineare che nei bambini, soprattutto durante la fascia di età compresa tra i 2 e i 6 anni, i capricci sono frequenti, ma anche importanti. Quando educhiamo un bambino, non possiamo non tener conto di tutte le forze, debolezze e necessità del suo processo di crescita.

In questi casi è facile perdere le staffe, ma diventa essenziale ed importante che le nostre parole trasmettano il seguente messaggio: “sì ai sentimenti e sì al bambino, no ai brutti atteggiamenti”Attenzione, è possibile validare le emozioni e i sentimenti del bambino adeguandoci al suo livello di comprensione e facilitando l’introspezione.

Sappiamo che un’emozione non esclude un’altra, poiché esse coesistono in un sistema piuttosto complesso. Per esempio, dovremo insegnargli poco a poco che essere tristi non è incompatibile con l’essere arrabbiati o imbarazzati. È un concetto che integreranno man mano che matureranno e i loro pensieri diventeranno più flessibili.

Per concludere, è bene sottolineare che a prescindere dai motivi del pianto, spingere il bambino ad analizzare le origini del suo malessere e dare ad esso un nome faciliterà la regolazione e la riflessività in un momento in cui i suoi pensieri sono totalmente disorganizzati e “non rispondono” nel modo giusto secondo i suoi canoni.

Fonte: https://lamenteemeravigliosa.it/non-piangere-non-risposta-giusta/?fbclid=IwAR2BVHnQmiTEmZOKA1b6ZWYi_SYkABak8FnwnOcO93NHj1-dLvW-WBkkKSc

 

I BAMBINI “DIFFICILI”? ASPETTANO QUALCUNO CHE RIESCA A COMPRENDERLI

Ti è mai capitato di incontrare un “bambino difficile“? Forse ne hai uno a casa? Che brutta etichetta, a pensarci bene! Come se ci fossero bambini facili e bambini difficili, persone giuste e persone sbagliate. In realtà, ciascuno di noi è un individuo unico, che combina esperienze, emozioni, talenti e ideali in una miscela irripetibile.
I bambini cosiddetti “difficili” rappresentano un mix esplosivo: spesso hanno talenti straordinari; altre volte hanno un mondo di emozioni che non riescono ad esprimere. In alcuni casi vengono da contesti familiari e di vita davvero impegnativi. Tuttavia, nessun educatore dovrebbe rinunciare a tirar fuori il meglio da questi ragazzi:

Se si perde loro (gli ultimi) la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati“.
Don Milani

Don Milani parlava di un mondo rurale, dimenticato dalla politica e dall’istruzione, ma le sue parole calzano a pennello per tutti quei bambini che per il loro carattere finiscono per essere emarginati dal mondo della scuola. In questi casi, di solito, il problema è superare la corazza che questi bambini hanno costruito per proteggersi dalle insidie del mondo, una corazza fatta di provocazioni, rifiuto di ascoltare e di collaborare. Con questi bambini le regole non bastano: c’è bisogno di recuperare un canale di comunicazione emotiva e affettiva, impresa niente affatto semplice.

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Ecco qualche idea (puoi integrarle con gli spunti sull’intelligenza emotiva e sull’ascolto attivo):

  • dai fiducia: cerca dei piccoli incarichi di responsabilità, per far capire al bambino che è importante e che abbiamo fiducia in lui;
  • conquista la fiducia: fai capire al bambino che può fidarsi di te, cerca di comportarti in modo prevedibile e sicuro;
  • gioca, ridi e scherza: la risata ha il potere di avvicinare i cuori delle persone;
  • parla con loro: il dialogo, se è sincero, apre un canale di comunicazione emotiva e aiuta gli altri ad abbassare le proprie barriere;
  • sii autentico: se il bambino sbaglia, non avere timore di correggerlo, trattandolo però con rispetto e spiegandogli chiaramente le cose.

Quando ti trovi di fronte ad un bambino con il quale tutti i tuoi tentativi di educare e comunicare sembrano vani, pensa alla fiaba popolare de “La bella addormentata“: dietro un muro impenetrabile di rovi, si cela un castello con la sua principessa. Il punto è trovare un passaggio!

Fonte: https://portalebambini.it/bambini-difficili-2/?fbclid=IwAR2a_0HJ2d4hXuzREMD9RkYsta0WXPvxC-SNaAmzbQL1nhvqSc3tEwTO2gM

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I bambini hanno effetti molto rapidi ed evidenti dall’assunzione dei Fiori di Bach come spiegato nell’articolo:

Fiori di Bach per i bambini

Mariella

Essere come le api per i fiori

L’ape trae il miele dai fiori senza sciuparli, lasciandoli intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non reca pregiudizio ad alcun tipo di vocazione o di occupazione, ma al contrario vi aggiunge bellezza e prestigio.

SAN FRANCESCO DI SALES

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Il mese di aprile è il mese della “Devozione”, questo termine fa subito pensare ad una religione, ma è solo un modo ristretto anche se istintivo di collegare questa parola.

Se si apre lo sguardo verso una diversa o forse più ampia osservazione, la devozione è anche quella che abbiamo verso noi stessi, verso ciò che siamo profondamente, nei confronti della nostra vocazione e della strada che abbiamo scelto nella vita.

“La vera devozione aggiunge bellezza e prestigio” questo è il cuore della frase, poi ognuno farà la sua interpretazione, come è naturale che sia, ma personalmente trovo che queste poche parole siano come i sassolini bianchi nella storia di Hansel e Gretel, che permettono di trovare la strada…

Inevitabilmente, quando si parla di trovare la “strada”, la nostra strada, che non è quella che vorrebbero i genitori, o che consigliano gli amici, o quella più conveniente, ma è quella che fa esprimere al meglio le nostre qualità, viene da pensare al rimedio dei fiori di Bach “Wild Oat” e cioè l’avena selvatica, che ci aiuta a rafforzare una qualità positiva determinante per sentirci soddisfatti:

“La chiarezza nel guardare dentro noi stessi e di scoprire la nostra strada.”

Se si osserva in basso la pianta, sembra proprio andare in una precisa direzione, in un’unica direzione come se la indicasse…

Mariella

 

Descrizione

Quelli che hanno l’ambizione di realizzare qualcosa di importante nella vita, che desiderano fare molte esperienze, trarre piacere da tutto quanto sia loro possibile e vivere pienamente la vita. La loro difficoltà sta nel determinare quale occupazione seguire; poiché sebbene abbiano grandi ambizioni, non hanno alcuna particolare vocazione che li attragga al di sopra di tutte le altre. Ciò può causare indugio e insoddisfazione.

Dott. E. Bach – I Dodici Guaritori e altri rimedi

Fiore di Bach Wild Oat (Avena Selvatica)

Io sono Wild Oat e ti dono

“La chiarezza nel guardare dentro te stesso e di scoprire la propria strada.”

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Sofferenza Emotiva. La strategia difensiva del riccio

Il dolore cambia profondamente le persone. Nessuno sarà più lo stesso dopo un lutto, una separazione, un tradimento. Le ferite si possono rimarginare, ma le cicatrici ricorderanno sempre quel che è stato e ciò che non potrà più essere. Tentare di scoraggiare il dolore ignorandolo, serve solo a spostarlo altrove, poiché quando la sofferenza diviene intollerabile, la mente afferisce a difese sempre più rigide e disfunzionali: la negazione, la proiezione, l’identificazione proiettiva sono solo alcune delle tante “etichette” utili al clinico per classificare nient’altro che modalità di sopravvivenza al dolore psicologico, quando questo supera la soglia soggettiva di sopportazione. Talvolta, quando la sofferenza emotiva non viene raccontata, quando non incontra una “relazione di contenimento” capace di catalizzarne la portata distruttiva, si impossessa di una parte di noi, una parte che urla in attesa di essere ascoltata: lo stomaco quando rifiuta il cibo, la testa quando viene ingabbiata in un dolore resistente al farmaco, la pelle quando si ricopre di eruzioni cutanee che escludono un’origine organica. La sofferenza a cui non si dà voce, prova a defluire all’esterno attraverso gli incubi notturni, l’insonnia, il vissuto depressivo, il panico.
Negare il dolore non serve a cancellarlo: lo rende solo più forte perché gli si consente di scavare l’anima, di toglierci il fiato di giorno e di invadere i nostri sogni di notte.  Chi teme di affrontare il dolore corre il rischio di diventarne prigioniero e di ritrovarsi ad interpretare la realtà attraverso chiavi di lettura soggettive permeate di sfiducia e pessimismo. Congelare la sofferenza emotiva ha l’effetto di una droga: ci fa sentire invulnerabili solo in apparenza, ha una riuscita temporanea e ci rende dipendenti da tutti quei fattori di distrazione che ci distolgono da noi stessi.
Anche la quotidianità rischia di subire violenti scossoni: tutto ciò che prima apparteneva alla routine, diviene improvvisamente faticoso, ciò che prima dava piacere e gratificazione, diventa insapore; spesso è indispensabile concedere a se stessi e ai propri bisogni emotivi uno spazio appropriato per esprimersi prima di ritornare ad occuparsi in modo funzionale ed efficace delle incombenze quotidiane: le emozioni negative ed il senso del dovere, infatti, sono come due conoscenti pronti ad entrare apertamente in conflitto tra loro e a dichiararsi apertamente guerra quando le pressioni esterne (incombenze quotidiane, consegne lavorative, gestione della casa e dei figli ecc) non consentono più una pacifica convivenza.

Chiudersi a riccio per paura

Quando il desiderio di mollare tutto prende il sopravvento, il pensiero richiama l’attenzione su quello che ci manca e ci invita a fermarci per iniziarne la ricerca. Le assenze, i vuoti, il non detto, l’amore non ricambiato, l’abbraccio non ricevuto, il conforto atteso invano, il desiderio inappagato sono ciò che pesa di più nello zaino che ognuno di noi porta sulle spalle quando attraversa la strada della vita; quando il peso del fardello è così difficile da sopportare da soli, è consigliabile fermarsi e cercare qualcuno che ci sollevi dalla fatica quanto basta per sentire il desiderio di ricominciare. Se invece si sceglie di chiudersi a riccio, non solo si rischia di restare schiacciati sotto il peso insopportabile del proprio malessere psicologico, ma addirittura di non ricevere soccorso da chi ci circonda, soprattutto se ci siamo mostrati sfuggenti ed evitanti per il timore che alla nostra richiesta di supporto non seguisse nessuna mano tesa. Con un atteggiamento di questo tipo, si corre il rischio di allontanare anche chi, nonostante la nostra reticenza a farci aiutare, ha provato a sfidare i nostri aculei, senza timore di pungersi. Quando la sofferenza è troppo grande per essere gestita da soli, è fondamentale chiedere aiuto: raccontare il dolore non solo non ci rende più deboli, ma spesso ci fortifica; condividerlo non ci rende più vulnerabili, ma ci regala un nuovo senso di leggerezza; abbandonarsi all’altro non equivale ad una sconfitta ma spalanca le porte ad una possibilità.

Sofferenza psichica: scelta di comodo o ultima spiaggia?

Nessuno sceglie di stare male, ne di incatenarsi ad una prigione fatta di insofferenza e frustrazione: le ragioni profonde alla base di un disagio psicologico (o di un conclamato disturbo) sono sempre numerose, oltre che molto complesse. Quando conducono il soggetto ad una condizione di malessere insostenibile, ciascuno si difende come meglio può. Divenire consapevoli di questo, potrebbe contribuire a guardare alla sofferenza psichica con il rispetto che gli è dovuto, piuttosto che giudicarla come se si trattasse di una scelta di comodo. Spesso, quelle che ci sembrano gelide, anaffettive, impenetrabili, o semplicemente bizzarre sono persone che in passato hanno chiesto con insistenza che le loro emozioni fossero ascoltate, decodificate e accolte. Avendo visto la loro richiesta cadere nell’oblio e il loro bisogno restare insoddisfatto, hanno imparato a chiudere la porta, visto che lasciarla aperta facilitava solo l’ingresso di un assordante silenzio. Quanto più un comportamento altrui ci appare insensato e improbabile, tanto più è probabile che sottenda una logica incontrovertibile alla luce dei fatti che l’hanno determinato. Spesso è sufficiente cambiare prospettiva per coglierne l’essenza, individuare la corretta chiave di lettura e attivarsi per dare il proprio contributo.

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Fonte: https://psichenessunoecentomila.wordpress.com/2014/09/02/sofferenza-emotiva-la-strategia-difensiva-del-riccio/

COLLEGAMENTO TRA EMOZIONI E CORPO

Esiste un collegamento diretto tra le nostre emozioni e il nostro corpo?
La medicina psicosomatica afferma che è così, quindi possiamo pensare che migliorando il nostro stato emotivo, possiamo riscontrare anche un miglioramento a livello corporeo.
Un atteggiamento positivo nei riguardi della vita può essere il primo passo verso la salute fisica.
Riflettiamo con un esempio, quando ci si arrabbia ad alcuni viene dolore allo stomaco ad altri mal di testa o altro ancora, spesso quindi viene coinvolto il nostro corpo o una parte di esso, questo perché ognuno ha un suo modo di reagire ad una stessa situazione, che in questo caso è un’arrabbiatura.
Con questo esempio banale possiamo riflettere sul collegamento che esiste tra le emozioni negative e il corpo, di conseguenza anche le emozioni positive lo sono.
Questo è il principio fondamentale della floriterapia del Dott. Edward Bach, gli stati d’animo negativi man mano che si assumono i Rimedi, vengono sostituiti dalla qualità positiva apposta.
“Il coraggio prende il posto della paura”.
Semplice. Così come è semplice la terapia dei Fiori di Bach.
Il Dott. Bach scriveva: “Che la semplicità di questo metodo non vi induca a non farne uso, perché quanto più le vostre indagini proseguiranno, tanto più vi renderete conto della semplicità di tutto il Creato.”

Mariella Pasquale

La paura e l’amore

Tutte le iniziative intraprese dagli esseri umani si fondano sull’amore o sulla paura, e non soltanto quelle che riguardano i rapporti affettivi. Le decisioni riguardanti gli affari, l’industria, la politica, la religione, l’educazione dei giovani, l’ordine sociale della nazione, le mete economiche della società, le scelte in cui sono coinvolte le guerre, la pace, l’attacco, la difesa, le aggressioni, la sottomissione; le decisioni in merito ad agognare o a rinunciare, a serbare o a condividere, a unire o a separare…
Ognuna delle libere scelte che decidiate di fare si sviluppa da uno dei due unici possibili pensieri che esistano: un pensiero di amore o un pensiero di paura.
La paura è l’energia che costringe, rinchiude, trattiene, trasforma, nasconde, accaparra, danneggia.
L’amore è l’energia che espande, apre, esprime, sopporta, rivela, condivide, risana.
La paura avvolge i vostri corpi con abiti, l’amore ci consente di starcene nudi. La paura si avvinghia e si aggrappa a tutto quello che abbiamo, l’amore distribuisce tutto quanto possediamo. La paura tiene costretti, l’amore tiene stretti.
La paura afferra, l’amore lascia liberi. La paura affligge, l’amore consola. La paura guasta, l’amore migliora.
Ogni pensiero umano, ogni parola e ogni azione si fondano sull’uno o sull’altro di questi sentimenti. Non avete scelta a tale proposito, poiché non esiste nient’altro tra cui scegliere.

 Ma avete la possibilità di decidere a quale dei due rivolgervi.

“Conversazioni con Dio” – Neal Donald Walsch

In questo saggio illuminante, viene instaurato un dialogo apparentemente impossibile fra Dio e l’uomo.

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Come posso avere coraggio e speranza?

“Il coraggio abbatte il muro della paura… la speranza apre la via dell’impossibile.”
Questa frase di Samuele Lion può essere uno dei biglietti da visita per i rimedi floreali del Dott. Bach,  il rimedio Rock Rose ci fa ritrovare il coraggio, come il rimedio Gorse ci apre verso la speranza, il Mimulus verso la fiducia… è così semplice da non sembrare vero. Possibile che ci sia un rimedio naturale che ci fa diventare coraggiosi o possibilisti o fiduciosi? Perché no? Perché le cose semplici sono spesso ritenute inefficaci?

La natura ci mostra che tutto è semplice, lo stesso Dottor Bach diceva “Che la semplicità di questo metodo non vi induca a non farne uso, perché quanto più le vostre indagini proseguiranno, tanto più vi renderete conto della semplicità di tutto il Creato.

A volte le persone mi dicono di non “credere” nei rimedi floreali, rispondo sempre che i “Fiori di Bach” non sono una religione, non serve “credere” nei Fiori basta provarli, e la cosa meravigliosa è che funzionano anche se non si crede in loro!

Descrizioni dei rimedi: Rock Rose – Gorse – Mimulus

Mariella

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Diamo rispetto al dolore

Il dolore in ogni sua forma merita rispetto. Purtroppo spesso nella nostra società materialista il dolore “interno”, quello emotivo, non viene riconosciuto o non gli viene data la giusta importanza.

Il dolore per la visione della maggior parte delle persone è il dolore fisico, se hai emicrania, mal di schiena etc. il tuo malessere è più che rispettato, ma se sei triste, scoraggiato o disperato,  il più delle volte ti viene detto “Non hai a cosa pensare” oppure “Sono cose che passano, prova a distrarti”.

Non c’è peggior cosa che sminuire il dolore di una persona, tale atteggiamento fa solo sentire in aggiunta la solitudine per non essere compresi.

Spesso chi si trova in questi stati d’animo se ne vergogna, forse anche perché non è un dolore che viene rispettato… sento troppe volte affermazioni del tipo “Del resto è vero, non mi manca niente, ma di cosa mi lamento? Perché mi sento triste?”

Forse se si è tristi non è proprio vero che non ci manca nulla, ma questo è un altro discorso…

Quello che è certo è che per l’emicrania si può assumere una compressa e mettiamo a tacere quel dolore,  ma la compressa per gli stati d’animo negativi non c’è o io non sono ben informata, possiamo però assumere i rimedi floreali del Dott. Bach il quale, dopo anni di attenti studi e osservazioni dei suoi pazienti, ha dato notevole rispetto ed importanza agli stati emotivi, mettendo a punto rimedi che potessero sostenere le persone nella paura, scoraggiamento, disperazione, che sono mali comprensibili solo nel momento in cui vengono vissuti.

Mariella

 

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Come rispondi alle avversità?

Una ragazza si lamentava con suo padre sulla sua vita e di come le cose le risultavano tanto difficili. Ogni volta che risolveva un problema, ne appariva un altro e lei.. era stanca di lottare.

Allora suo padre la portò in cucina, riempì tre pentole di acqua e le pose sul fuoco. Quando l’acqua delle tre pentole stava bollendo, in una mise delle carote, in un’altra mise delle uova e nell’ultima mise alcuni chicchi di caffè. Lasciò bollire l’acqua senza dire parola.

La figlia aspettava impazientemente, domandandosi cosa stesse facendo il padre.
Dopo venti minuti il padre spense il fuoco, tirò fuori le carote, le uova, colò il caffè e li mise in tre recipienti diversi.

Fece avvicinare sua figlia e le chiese di toccare le carote: la figlia le toccò e notò che erano morbide; dopo le chiese di prendere un uovo e di romperlo, e lei osservò l’uovo era duro. Poi, il padre le chiese di provare il caffè… sorrise mentre godeva del suo ricco aroma.
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Umilmente la figlia domandò: “Cosa significa questo, papà?
.

Il padre le spiegò che nonostante i tre elementi avessero affrontato la stessa avversità, “l’acqua bollente”, essi avevano reagito in maniera completamente diversa.

-La carota arrivò all’acqua forte, dura, superba; ma dopo era diventata debole e facile da disfare.

-L’uovo era arrivato all’acqua fragile, il suo guscio fine proteggeva il suo interno molle, ma dopo essere stato in acqua, il suo interno si era indurito.

-Invece, i grani di caffè, erano unici: loro avevano cambiato l’acqua.
.
Quale sei tu?” chiese il padre alla figlia.
Quando l’avversità suona alla tua porta, come rispondi?
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Rispondendo a questa domanda, ognuno di noi può comprendere quale stato d’animo riportare in armonia, e quale rimedio dei Fiori di Bach ci può aiutare.
Mariella
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